Da quando sono a Londra ho cercato di leggere libri in
lingua inglese per fare quella che si definisce una “full immersion” e
migliorare più in fretta le mie capacità linguistiche.
Mi sono iscritta alla fornitissima biblioteca pubblica e,
per iniziare gradualmente, ho preso in prestito qualche libro per ragazzi e young adult (giovani adulti) sapendo che in questa
categoria ci sono testi ben scritti e godibilissimi anche per noi grandi. Poi
sono passata ad un paio di romanzi, fiction
li chiamano qui, non troppo complessi. Quando ho terminato “La ragazza con l’orecchino di perla” di Tracy Chevalier potendo affermare,
in modo convinto, di essermelo “gustato”
oltre che di averlo capito, ho preso coraggio e sono passata alle cose
impegnative.
Sapevo che i miei amici de “La Cittadella dei Lettori”, il
gruppo di lettura che ha sede nella biblioteca comunale di Pieve di Soligo, si
erano inoltrati alla scoperta di Alice Munro, ultimo premio Nobel
per la letteratura, e per restare al passo ho iniziato un suo libro di
racconti.
Con fatica ho finito il primo servendomi ogni 3-4 parole dell’ottimo servizio di Google Traduttore. Ma è stato un
esercizio faticoso che non lasciava niente al piacere della lettura.
E così ho capito che quando un libro è piacevole, non solo per la capacità della
storia che racconta di prenderci e interessarci, ma anche e soprattutto per la
bellezza delle parole, per la maestria di chi scrive di comporre le frasi
facendo apparire paesaggi, pennellando volti e caratteri, portandoci dentro
un’atmosfera o un sentimento, non puoi leggerlo con il dizionario di fianco ma
devi, davvero, aver fatto “tua” quella lingua.
E ho realizzato, nello stesso momento, quanto siano bravi i
traduttori, per lo più sconosciuti e mal pagati, che devono riuscire a ricreare
le stesse sensazioni, la stessa magia riportandole da una lingua ad un’altra.
Ci si rende conto di quanto siano importanti le parole e
della differenza tra padroneggiare un idioma e saperlo solo abbastanza bene
anche quando si è in un paese non della propria lingua madre e ci si accorge di
perdere per strada le sfumature, di non capire del tutto le battute di non
sapere far arrivare agli altri pienamente quello che si vorrebbe.
Auguro ai nostri ragazzi che si affacciano su un mondo
globalizzato e in continua e veloce trasformazione di arrivare davvero a
“possedere” le parole, prima quelle della propria lingua e poi anche in quella
che è diventata ormai “obbligatoria”, l’inglese. Perché possano cogliere ed
esprimere la bellezza.
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