venerdì 27 giugno 2014

Il mondo in un pallone

Non avrei mai pensato di scrivere un post dedicato al football. 
Sono arrivata in Inghilterra con un certo grado di saturazione riguardo al mondo del calcio in ogni sua forma. Ho provato sollievo all’idea di non dover lavare calzettoni puzzolenti e scarpe incrostate di terra e fango (e chi mi dice che i ragazzini dovrebbero arrangiarsi a tenere pulite le loro attrezzature o ha una lavanderia dedicata e isolata o ha un imbianchino a disposizione ogni quindici giorni); e mi sono sentita liberata dal “sequestro familiare” che comportano 3 allenamenti  settimanali, più la partita del sabato pomeriggio, più tornei di vario tipo sparpagliati duranti l’anno, spesso nei fine settimana. Per non parlare della TV quasi sempre sintonizzata su un anticipo, posticipo, Champions League, Coppa Italia e non so cos’altro ancora. 
Ma Tom adora il calcio, davvero (e così suo papà e mio marito Alessandro). Non riesce a camminare se non dà qualche pedata a qualunque oggetto possa in qualche modo rotolare. Già dopo un paio di giorni presso il nostro primo indirizzo londinese l’ho trovato che conversava amabilmente, con le sue 50 parole di inglese, con un altro coinquilino ben più grande di lui, Mahmut, originario di Istanbul  e supporter del Fenerbache, di Milan, giocatori, del campionato inglese ecc. mentre io avevo scambiato sì e no due frasi di circostanza. Ovviamente appena trovata la dimora definitiva mi ha chiesto un pallone e siamo andati al parco; e lì non ci ha messo molto a trovare qualcuno con cui fare due tiri, di tutte le età. 
Praticamente è stato Tom con il suo pallone e la sua conoscenza sull’argomento che ha aperto molte porte qui, senza nemmeno sapere bene la lingua. 
Perché, se ci dimentichiamo del calcio-mercato e degli ingaggi milionari, dei diritti TV e dei calciatori capricciosi come vere e proprie star, ma torniamo ai fondamentali, dobbiamo ammettere che il calcio è davvero universale e democratico. Che sia quello giocato per strada o in spiaggia con le porte fatte con le ciabatte, che sia quello visto su uno schermo o letto sulla Gazzetta, è un linguaggio semplice e immediato, un passpartout.
Per questo la World Cup, anche con tutti i problemi e le contestazioni del caso, rimane una grandissima festa collettiva ed è difficile rimanere indifferenti anche se non si ama il calcio. 



Tom stasera (sabato 14) seguirà Italia-Inghilterra a casa di un suo amico, ognuno tiferà il proprio paese e poi dormiranno insieme. E la mattina dopo? Alle 8 appuntamento per andare ad un torneo di calcio che durerà tutta la domenica, naturalmente. Pensavo di essermela scampata per un po’. 





Comunque avete visto l’ultimo spot, “The Last Game”,  di una nota marca sportiva che inizia con la N? E’ talmente bello che ci fa diventare simpatico perfino Ibra.

Numeri a confronto

Anche qui a Barking and Dagenham, il “comune”, borough  nell’est di Londra (la città Greater London ne ha 33), dove viviamo io e Tom, ci sono state le elezioni. Percentuale media di affluenza circa 37%, ha vinto di nuovo il Labour Party e sulla foto vedete alcuni dei candidati. Il signore sikh, arrivato dal Punjab nel 1963, si chiama Singh ed è l’ex sindaco, i nomi degli altri due candidati sono Jeanne e Faraaz. 









Foto by Darren Rodwell on behalf of Barking’s Labour Council candidates


In Italia la scorsa domenica ci sono stati i ballottaggi mentre qui, nel Regno Unito, nell’ultima settimana erano attesi i risultati delle elezioni nel distretto di Newark poco dopo le votazioni per il Parlamento Europeo che ha visto l’exploit dell’UKIP, il partito dell’ormai notissimo Farage. In questo appuntamento elettorale si è riconfermato invece il candidato dei Tory distanziando il rappresentante dell’UKIP di quasi il 20% e rasserenando molti animi preoccupati anche se l’affluenza ha avuto un crollo verticale rispetto alle ultime elezioni. Devo ammettere che non conoscevo per niente Farage e il suo partito, e anch’io ho cercato di informarmi. Di certo c’è che le dichiarazioni fatte da alcuni importanti esponenti dell’UKIP sono inequivocabili e non direi proprio “progressiste” e il loro leader non ne ha mai preso le distanze. 
L’unica considerazione che mi sento di fare è che molti inglesi inglesi, di etnia bianca per capirci, e gli inglesi di tutte le altre numerosissime etnie miste e non, che vivono in UK da un paio di generazioni o da moltissimi anni, cominciano ad essere insofferenti riguardo la politica sull’immigrazione e del sistema di welfare, sotto certi punti di vista generosissimo, che però molte volte penalizza pesantemente chi vive qui da sempre. 
Se vogliamo, sono gli stessi discorsi che sentiamo in Italia negli ultimi anni (aggravati dalla pesante situazione economica) con la differenza che qui sono arrivati e continuano ad arrivare in tantissimi. Qualche mese fa si parlava di una quantità di persone corrispondente circa ad un aereo che, solo dall’Italia, ogni settimana arriva a Londra (dentro la statistica c’è anche chi scrive) per fermarsi in cerca di lavoro e fortuna.

Ora, anche se non c'è una diretta connessione con l'argomento precedente, lascio che parlino alcune cifre: 
Comune di Treviso:   abitanti  83.000,  densità abitativa 1.497 ab/kmq
Barking and Dagenham:   abitanti 187.000, densità abitativa  5.200 ab/kmq  
etnie 49,5% bianchi britannici, 0,9% bianchi irlandesi, 0,1% bianchi gitani, 7,8% altri bianchi, 1,4% bianchi e neri caraibici, 1,1% bianchi e neri africani, 0,7% bianchi e asiatici, 1% altri misti, 4% indiani, 4,3% pakistani, 4,1% bengalesi, 0,7% cinesi, 2,8% altri asiatici, 15,4% neri africani, 2,8% neri caraibici. 
Regione del Veneto:   abitanti  4.914.000, densità abitativa 267 ab/kmq.
Greater London:   abitanti 8.308.000, densità abitativa 5.285 ab/kmq         se si calcola l’area metropolitana che converge quotidianamente sul centro per il lavoro si arriva a circa 14 milioni di persone senza calcolare le centinaia di migliaia di turisti e studenti. 
Chi viene a visitare Londra e la trova un poco affollata non dica che non è stato avvisato. 
Dati (arrotondati) fonte Wkipedia.

venerdì 6 giugno 2014

L'importanza delle parole

Da quando sono a Londra ho cercato di leggere libri in lingua inglese per fare quella che si definisce una “full immersion” e migliorare più in fretta le mie capacità linguistiche.
Mi sono iscritta alla fornitissima biblioteca pubblica e, per iniziare gradualmente, ho preso in prestito qualche libro per ragazzi e young adult  (giovani adulti) sapendo che in questa categoria ci sono testi ben scritti e godibilissimi anche per noi grandi. Poi sono passata ad un paio di romanzi, fiction li chiamano qui, non troppo complessi. Quando ho terminato “La ragazza con l’orecchino di perla” di Tracy Chevalier potendo affermare, in modo convinto,  di essermelo “gustato” oltre che di averlo capito, ho preso coraggio e sono passata alle cose impegnative.
Sapevo che i miei amici de “La Cittadella dei Lettori”, il gruppo di lettura che ha sede nella biblioteca comunale di Pieve di Soligo, si erano inoltrati alla scoperta di Alice Munro, ultimo premio  Nobel  per la letteratura, e per restare al passo ho iniziato un suo libro di racconti.
Con fatica ho finito il primo servendomi ogni  3-4 parole dell’ottimo  servizio di Google Traduttore. Ma è stato un esercizio faticoso che non lasciava niente al piacere della lettura.
E così ho capito che quando un libro è  piacevole, non solo per la capacità della storia che racconta di prenderci e interessarci, ma anche e soprattutto per la bellezza delle parole, per la maestria di chi scrive di comporre le frasi facendo apparire paesaggi, pennellando volti e caratteri, portandoci dentro un’atmosfera o un sentimento, non puoi leggerlo con il dizionario di fianco ma devi, davvero, aver fatto “tua” quella lingua.
E ho realizzato, nello stesso momento, quanto siano bravi i traduttori, per lo più sconosciuti e mal pagati, che devono riuscire a ricreare le stesse sensazioni, la stessa magia riportandole da una lingua ad un’altra.
Ci si rende conto di quanto siano importanti le parole e della differenza tra padroneggiare un idioma e saperlo solo abbastanza bene anche quando si è in un paese non della propria lingua madre e ci si accorge di perdere per strada le sfumature, di non capire del tutto le battute di non sapere far arrivare agli altri pienamente quello che si vorrebbe.

Auguro ai nostri ragazzi che si affacciano su un mondo globalizzato e in continua e veloce trasformazione di arrivare davvero a “possedere” le parole, prima quelle della propria lingua e poi anche in quella che è diventata ormai “obbligatoria”, l’inglese. Perché possano cogliere ed esprimere la bellezza.